Per la SIAE di Mogol vengono prima le (canzoni) italiane
Parafrasando un noto slogan della Lega Nord di Salvini, per la SIAE guidata da Mogol… vengono prima le canzoni italiane!
Non si spiega in altro modo il battage nei confronti degli autori associati SIAE a sostegno della proposta di legge sull’obbligatorietà di una programmazione di almeno il 30% di brani di musica italiana.
A sostegno di tale proposta gli associati SIAE hanno infatti ricevuto mail – ordinarie e (addirittura!) certificate – aventi ad oggetto un titolo dal sapore nostalgico che ricorda vagamente il clima festivaliero degli anni ’60 e ’70: “La radio canta l’Italia“. Nel testo della mail – pubblicato anche sul sito SIAE – una lettera di Mogol che richiama proprio la proposta di legge il cui primo firmatario è Alessandro Morelli, Presidente della Commissione Trasporti e telecomunicazioni della Camera, leghista nonché già direttore di Radio Padana, la radio della Lega Nord.
Per i pochi che non lo sapessero, la proposta di legge dal titolo “Disposizioni in materia di programmazione radiofonica della produzione musicale italiana” chiede “che le emittenti radiofoniche, nazionali e private debbano riservare almeno un terzo della loro programmazione giornaliera alla produzione musicale italiana, opera di autori e di artisti italiani e incisa e prodotta in Italia, distribuita in maniera omogenea durante le 24 ore di programmazione” e che una quota “pari almeno al 10 per cento della programmazione giornaliera della produzione musicale italiana sia riservata alle produzioni degli artisti emergenti“.
Tale proposta dovrebbe essere applaudita con entusiasmo da un autore come me, anche in quanto tifoso della musica emergente. In realtà non è così e provo a spiegarne i motivi.
Pur trattandosi di una legge che, come dice il presidente Mogol nella sua lettera “richiama altri esempi in Europa, come il sistema delle quote, utilizzato da molto tempo in Francia” e nonostante l’argomento sia “stato già affrontato in passato con diverse proposte, tra cui quella avanzata dalla FIMI nel febbraio 2016 […] e con l’intervento nel novembre 2017 dell’allora Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo Dario Franceschini“, in questa occasione vedo lo zampino (o zampone, per i buongustai!) della propaganda leghista.
Ciò significa che una proposta che, almeno sulla carta, può avere qualche aspetto positivo, nel merito rischia di essere applicata in maniera errata e anacronistica, scadendo nella superficialità, prosopopea e arroganza tipiche dei populisti/propagandisti. Non è un caso, del resto, che il tutto sia partito poche ore dopo la vittoria sanremese di Mahmood, ragazzo italianissimo ma sbattuto in prima pagina più per le origini del padre che per la conquista del successo sanremese.
Al di là dell’opportunità o meno che tali proposte vengano lanciate da gente a cui personalmente non affiderei la trascrizione della lista della spesa, penso che la proposta vada cassata anche per motivi più concreti.
Il primo.
Nessuno dovrebbe poter imporre per legge, né alle radio né a un qualsiasi editore di musica (e cultura) cosa trasmettere (o pubblicare) e incidere così pesantemente sulla sua linea editoriale.
Il secondo.
La musica è arte. Non è un paio di scarpe colorate che oggi non puoi calzare perché non si abbinano col colore del vestito che indossi. La musica in quanto arte va lasciata libera di scorrere come un fiume che porta acqua al mare della cultura.
Il terzo.
Secondo i dati EarOne – riportati da Il Sole 24 Ore – qualora la proposta dovesse diventare legge, si avrebbe addirittura una riduzione della “quota italiana” di musica in radio: “la presenza di brani in lingua italiana nel 2018 ha toccato infatti quota 45 per cento“… sarebbe dunque un intervento peggiorativo e paradossale. La lettera di Mogol fa invece riferimento ai dati di ripartizione dei diritti d’autore, relativi al periodo 2010-2017, secondo i quali “su dieci stazioni radiofoniche, soltanto quattro rispetterebbero la soglia del 33% della proposta di legge“. Si tratta di dati a mio avviso fuorvianti e utilizzati in maniera furba per rendere più appetibile l’iniziativa (per esempio, che fine fanno i diritti ripartiti agli autori Soundreef?).
Detto questo, ritengo un azzardo da parte di Mogol lanciare la SIAE nella mischia della propaganda, che non potrà certo risolvere i problemi cronici della musica italiana. Sarebbe più utile, considerato che si ha del tempo da impegnare in discussioni a sfondo musicale (e ciò è sicuramente positivo), dare valore a quel tempo e concentrarsi sulla qualità della musica “che gira intorno” (cit. Fossati) anziché sulla quantità. Perchè la prima (qualità) è conseguenza pressoché diretta della seconda (quantità).